Scrive Adriano Sofri nel suo commento al libro: "Grazie a circostanze di privata amicizia lessi il diario del sottotenente Carlo Hendel, tenuto così a lungo in un cassetto - più di sessant'anni - e fui colpito, profano come sono di quel capitolo storico, dal doppio tono del testo. Che, scritto senza artificio e con vivacità, e senza altra destinazione se non personale e famigliare, si apriva su un registro scanzonato e quasi futile, accompagnato da un amore da tempi di pace, e lo teneva fin dentro l'arrivo al fronte vero della guerra e alle sue giornate senza storia, per precipitare all'improvviso nella tragedia. In questo stridente trapasso si potrebbe leggere una inconsapevolezza o una superficialità del ventenne autore del diario e di tanti suoi compagni di ventura, e si sbaglierebbe di grosso. Il sottotenente Hendel è un ennesimo della lunga fila che va dal giovane Fabrizio del Dongo a Waterloo, ai soldati e ai cavalli di Tolstoj e al bambinello Useppe della Storia di Elsa Morante, che capitano dentro la guerra e non la vedono, perché non c'è da vedere se non l'insensatezza e l'orrore. Il lavoro di morte: come lo chiama ora Carlo Hendel".